La ricerca del proprio Essere (l’être) porta l’artista a scorrere il tempo, convinto che il futuro debba potersi rimodellare sul passato e che solo nel passato si possono riconoscere le proprie radici. Belotti giunge quindi ad intendere l’arte che ci ha preceduto come una preziosissima eredità attraverso cui riuscire a rifondare totalmente la visione comune della pittura. Ma per un paradosso annunciato il Nulla (le néant), esprime un’insindacabile negazione - in questo caso della premessa su cui l’artista fonda la sua stessa opera - per cui le dimensioni del tempo tendono ad annullarsi in uno stato di coscienza universale che travalica limiti e barriere.
E in questa dimensione totalizzante egli ha elaborato i suoi ultimi lavori che sintetizzano la produzione precedente - spesso ispirata a visioni classiche, tratte da Leonardo, Raffaello, Caravaggio, quest’ultimo rivisitato in più versioni - giungendo a un tipo di pittura in cui il colore - sempre puro e sempre molto timbrico - appare addirittura frastornato da inserti di materiale cartaceo e plastico tra i quali si malcela lo scheletro della composizione. Sembra quasi che egli non voglia più fingere architetture nascoste e luoghi segreti, ma annullarsi nella verità del particolare (l’inserto) per far emergere il lato oscuro dell’esistenza e della pittura : la finzione.